martedì 7 luglio 2009

CODEX SINAITICUS

Ho letto il nome "Codex Sinaiticus" per la prima volta qualche minuto fa sul sito del La Repubblica in un trafiletto a lato delle notizie principali; si parlava della bibbia più antica disponibile online. La notizia mi ha incuriosito ed ecco cosa ho scoperto a riguardo: il Codex Sinaiticus è un manoscritto della Bibbia Cristiana che risale al IV sec d.C.; al suo interno è contenuta la più antica trascrizione integrale del Nuovo Testamento. Inoltre, in esso, è presente una copia della Septuaginta, ovvero la versione liturgica dell'Antico Testamento per la chiesa Ortodossa. Si tratta quindi di un testo di fondamentale importanza dal punto di vista religioso ma lo è ancora di più per gli studiosi di storia della religione perchè al suo interno sono presenti numerosissime correzioni effettuate in fase di copiatura. E non si tratta sempre di correzioni per errori del trascrivente ma più spesso di modifiche del testo originale, con inserzioni, talvolta, di intere frasi. Studiando il Codex Sinaiticus e confrontandolo con altre trascrizioni è possibile ricostruire alcuni dei passaggi attraverso cui si è giunti alla versione "moderna" delle Sacre Scritture. In pratica, dallo studio del manoscritto è possibile capire come la Bibbia veniva letta, interpretata e usata nei primi secoli del Cristianesimo.

Codex Sinaiticus, porzione appartemente al British Museum

Se lo studio del Codice è interessante, ancora di più risulta essere la sua storia "moderna". Esso fu recuperato da Konstantin Von Tischendorf presso il Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai, in Egitto. Ci vollero tre viaggi (e l'intervento dello Zar Alessandro II) per ottenere la quasi totalità del manoscritto, custodito gelosamente dai monaci che ancora oggi considerano il manoscritto rubato dal monastero nonostante esso sia stato effettivamente acquistato dallo Zar stesso nel 1859, data dell'ultimo viaggio di Konstantin Von Tischendor. Il codice è stato conservato presso la Biblioteca Nazionale Russa di San Pietroburgo fino al 1933, anno in cui venne venduto al British Museum.
Nel 1975, durante dei lavori di ristrutturazione del monastero, vennero alla luce altre pergamene appartenenti al codice, che sono attualmente conservate presso il monastero.

Le vicende storiche hanno quindi fatto sì che il Codice Sinaitico sia attualmente diviso tra quattro istituzioni: il British Museum (347 fogli), la biblioteca dell'Università di Lipsia (43 fogli - non sono riuscita a capire come ci siano finiti...), il Monastero di Santa Caterina (12 fogli e 40 frammenti) e la Biblioteca Nazionale Russa (frammenti di 6 fogli, evidentemente rimasti fuori dall'acquisto del British). Nel 2005 queste quattro istituzioni decidono di dare vita ad un progetto di conservazione, salvaguardia e digitalizzazione del manoscritto, in maniera tale da mettere a disposizione di tutti questa fondamentale testimonianza storica. In primis si è valutato lo stato di conservazione di ciascun papiro (o frammento di esso) con una valutazione portata a termine da esperti mondiali che lavorano (ahimè) solo con lente di ingrandimento ed esperienza. In seguito è stato deciso di intervenire "blandamente" sui fogli considerati a rischio. Per ogni porzione del manoscritto è stata redatta una scheda in cui sono riportate tutte le caratteristiche del foglio, a partire dallo spessore, per finire con il colore dell'inchiostro e il suo stadio di decolorazione.
In seguito si è portata a termine la digitalizzazione di tutto il codice. Prima di procedere all'acquisizione delle foto si è dovuto decidere quali fossero le migliori condizioni per ottenere immagini leggibili e al contempo non alterare il foglio originale (penso in particolar modo a quanto una pergamena antica e il suo inchiostro possano essere sensibili a valori di Lux troppo elevati). Le riprese sono state fatte anche in luce radente, per mettere in evidenza lo stato di conservazione della pergamena oltre al suo contenuto.
La terza parte del lavoro ha coinvolto un team di "trascrittori/traduttori". E' stata infatti realizzata una trascrizione completa del manoscritto in greco onciale (maiuscolo) a cui è poi stata affiancata la traduzione in lingua inglese, russa, greca (moderna!) e tedesca. Da notare che la trascrizione è di fondamentale importanza per una lettura più facile del testo, che risulta talvolta difficile attraverso le sole fotografie.

Proprio ieri è iniziata, presso il British, una due giorni di presentazione del progetto appena concluso. Il risultato del lavoro di una equipe di almeno un centinaio di membri è racchiuso in un meraviglioso sito che vi consiglio di visitare: http://www.codex-sinaiticus.net/en/.

Vi riporto solo uno screenshot della favolosa sezione in cui possiamo leggere qualsivoglia pagina del Codex Sinaiticus:

ESTER 1:1a


A sinsitra la foto navigabile della pagina, in alto a destra la trascrizione e sotto la traduzione in inglese. Disponibile dal menu anche la visualizzazione della scheda di conservazione del papiro in esame.

Il sito, inoltre, contiene moltissime informazioni (decisamente più di quelle che ho inserito io nel post) sulla storia del codice e sulla sua importanza per la comunità storico/scientifica.
Sarebbe bello un giorno poter vedere dal vivo il codice e, chissà, magari fare qualche analisi su quegli inchiostri... ma questa è un'altra storia che riguarda le mie ricerche accademiche... forse un giorno potrò fare un post su queste misure!! Chi vivrà vedrà... per ora godiamoci questo bellissimo sito, frutto di un progetto veramente valido che dovrebbe essere portato a termine su tutti i codici preziosi a rischio. Speriamo che la digitalizzazione (e la conseguente liberalizzazione o diffusione sul web delle immagini ottenute) diventi veramente una prassi anche nelle nostre biblioteche.

lunedì 22 giugno 2009

USS Arizona

7 Dicembre 1941: la flotta aeronavale giapponese attacca Pearl Harbor. Cinque delle sette corrazzate americane vengono affondate; fra queste, la USS Arizona, divenuta in seguito il simbolo della prima fase della battaglia del Pacifico. Una bomba, sganciata alle 08:06 da un Hiryū Kate, colpisce la nave sul tribordo, determinando l'apertura di una falla sullo scafo dovuta all'esplosione del magazzino delle munizioni. L'immagine sottostante è l'unica ripresa a colori conosciuta dell'attacco alla USS Arizona.



La corrazzata si adagia sul basso fondale di Pearl Harbor, a meno di 10 metri di profondità. Al termine dell'attacco giapponese si conteranno circa 2300 vittime militari; quasi la metà di esse appartenevano all'equipaggio della corazzata Arizona.

La parte di storia che ci interessa più da vicino comincia nel momento in cui si decide che il relitto è un simbolo e per questo è necessario valorizzarlo. A differenza di tanti altri casi famosi (su tutti quello del Vasa), la scelta delle autorità americane è quella di non recuperare lo scafo dal fondale. Si decide di erigere una piattaforma "palafittata" in direzione trasversale rispetto alla scafo (come da immagine sottostante); sulla piattaforma è posto lo USS Arizona Memorial, che viene visitato ogni anno da almeno un milione di persone.


La struttura del memoriale ha una apertura sul pavimento che permette ai visitatori di osservare la cisterna della nave, da cui fuoriescono costantemente le "lacrime della USS Arizona". Lo scafo della corazzata, infatti, perde carburante dal momento in cui è stato affondato. Per questo motivo, a partire dal 1999 è stato messo a punto un progetto multidisciplinare per la salvaguardia dello scafo e dell'ecosistema marino in cui esso si trova: lo USS Arizona Preservation Project.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra lo US Geological Survey's Pacific Science Center e il National Park Service. I principali aspetti su cui si concentra attualmente la ricerca sono lo stato di corrosione dello scafo e la struttura geologica del fondale marino su cui poggia la corazzata.

Come possiamo immaginarci i fattori che influenzano la resistenza di un metallo in ambiente marino sono numerosi; i principali parametri che vengono presi in considerazione sono: il pH, la concentrazione di ossigeno (l'ossigeno è direttamente responsabile della corrosione del metallo) e la salinità dell'acqua.
Oltre a ciò si effetuano campagne di misure volte a determinare lo spessore delle pareti della struttura della nave. In particolare, in una prima fase si è proceduto al campionamento di alcune sezioni dello scafo (dischi con dimensioni di 4 pollici di diametro); in seguito si è deciso di ripiegare su una tecnica non invasiva come la sonda ad ultrasuoni, considerando l'importanza del manufatto in esame.

Per valutare la velocità di corrosione dello scafo da parte dell'acqua marina vengono effettuate misure di potenziale di corrosione (Ecorr). Tale potenziale viene misurato con un elettodo Ag/AgCl. Mettendo in relazione il potenziale con i valori di pH dell'acqua è possibile stimare quale sia la durata media del metallo.

Il dato più interessante di questa parte di studio è che i ricercatori hanno messo a punto un sistema per studiare anche l'interno della nave. In collaborazione con una ditta specializzata in riprese subacque è stato realizzato un piccolo Video-Ray ROV (Remotely-Operated Vehicle). Questo, oltre a realizzare riprese video trasmesse in tempo reale all'operatore-guidatore, può essere equipaggiato con ogni tipo di sonda; nel nostro caso, come ovvio, i ricercatori hanno deciso di dotarlo di un dispositivo ad ultrasuoni per valutare lo spessore delle parti interne dello scafo e contemporaneamente hanno misurato i parametri di cui sopra in zone inaccessibili per l'uomo. L'immagine qui sotto mostra il ROV usato dai ricercatori americani.

Dai dati emersi finora lo scafo sembra aver resistito abbastanza bene alla corrosione marina.

Un'altra parte del monitoraggio consiste nel prelievo (e nella conseguente analisi) delle concrezioni che si trovano nella parte esterna dello scafo. Particolare attenzione è stata posta nell'analisi delle colonie di microrganismi presenti in esse allo scopo di comprendere se e come la microfauna presente sullo scafo stia influenzando la corrosione del ferro. I risultati preliminari di questa parte del lavoro sono stati pubblicati nel nuovo numero di Journal of Cultural Heritage; è proprio leggendo questo articolo che mi sono appassionata al caso della USS Arizona!

Tramite sonde GPS, posizionate in zone strategiche della nave, la posizione dello scafo viene tenuta sotto costante controllo; nelle zone intorno alla falla sono stati posizionati rilevatori di movimento, così come si fa per le crepe strutturali di una muratura.

Infine, quanto precedentemente detto, unito all'analisi dei movimenti dello scafo e ad un approfondito studio geologico dei sedimenti della baia di Pearl Harbor su cui è adagiata la corazzata, permetteranno agli scienziati di garantire a questo simbolo della storia americana un sommerso e sereno riposo per almeno un altro centinaio di anni!

sabato 13 giugno 2009

Poster e dintorni

Salve a tutti!

eccomi di nuovo (finalmente!) a scrivere sulle pagine di Art&Scienza.... vi sono mancato??... probabilmente no, ma a me siete mancati voi!!!

Ho avuto un "piccolo" momento di stop dovuto alla conclusione della tesi e successiva laurea (evvai!), ma adesso cercherò di dedicarmi più assiduamente a queste pagine digitali, per proporvi nuovi articoli, riflessioni, notizie e curiosità sul mondo del restauro e della conservazione!!

come primo post vorrei dare divulgazione su di una mostra che stanno organizzando i miei compagni di blog:


Vi invito a visitare il sito ufficiale!


In pratica si tratta di una mostra che intende illustrare, attraverso poster e pubblicazioni, quale sia il lavoro svolto dagli studenti delle lauree triennali e specialistiche classi 41 e 12s (spero i numeri siano giusti.... ); la mostrà raccoglierà circa 40 poster che avranno l'arduo compito di mostrare i lavori di tesi svolti da altrettanti studenti che si sono cimentati nei suddetti corsi di laurea.

I poster spazieranno dall'applicazione di nanoparticelle sul veliero Vasa, allo studio di malte messicane (provenienti dal sito di Calakmul) contenenti particolari gomme vegetali, fino particolari studi sul degrado delle fotografie. Insomma, tra lavori di pura ricerca sperimentale e di interventi di restauro al limite della fantasia, sarà un viaggio attraverso ciò che sta dietro ad un restauro che affascinerà anche i meno ferrati nella materia.

La mostra, oltre ad essere un'ottima occasione per far conoscere a tutti il grande lavoro di ricerca che sta dietro ad un "buon" (passatemi il termine..) restauro, rappresenterà anche un momento utile a far comprendere agli "addetti ai lavori" la fumosa figura del conservation scientist, che vogliamo (e dobbiamo) delineare quale futura figura professionale, e che ancora, purtroppo, stenta ad affermarsi.

Chiunque abbia frequentato i corsi di laurea triennale o specialistica a Firenze può rivolgersi agli organizzatori al seguente indirizzo emali:

scientiaadartem@gmail.com

Tutti quanti siete invitati alla mostra (dettagli sul luogo e la data arriveranno presto); a chiunque abbia frequentato i medesimi corsi in altre città consiglio di promuovere iniziative simili, in modo da catturare, sempre di più, l'attenzione delle persone verso il mondo del conservation scientist.

Andrea

martedì 24 marzo 2009

Il restauro: tra il Salone di Ferrara e il Giornale dell'arte

Si avvicina il consueto appuntamento annuale con il "Salone dell'arte del restauro e della conservazione dei Beni Culturali e Ambientali", che si svolgerà a Ferrara dal 25 al 28 Marzo. Per chi ancora non conoscesse questa manifestazione, farò un veloce rendiconto delle diverse opzioni che il Salone può offrire:

- Convegni che si sviluppano durante tutto l'arco della giornata nelle diverse sale
- Una moltitudine di incontri tecnici solitamente organizzati da imprese attive nel settore del restauro
- Buona parte dell'edificio è occupato da stand di espositori di ogni tipo (vi consiglio uno sguardo alle case editrici attive nel settore...spesso si possono trovare libri interessanti a prezzi scontati!)
- Organizzazione di mostre che è possibile visitare con lo stesso biglietto di entrata al salone

Insomma per chi non ci fosse mai stato ed è interessato alla tematica del restauro proposta da tutti i punti di vista, consiglio vivamente di passare da Ferrara. Sul sito ufficiale dell'evento troverete in dettaglio tutti gli eventi programmati durante i 4 giorni di fiera.

Inoltre segnalo che è in edicola un allegato speciale a "Il giornale dell'arte e dell'architettura" tutto dedicato al restauro e al salone di Ferrara. Di seguito vi proporrò un veloce indice degli articoli più interessanti proposti all'interno del giornale:

- "Non si deve restaurare la notte dell'arte". Articolo che propone due diversi punti di vista sul restauro del contemporaneo (argomento molto di attualità e trattatto anche da Andrea in un precedente post): da una parte c'è chi sostiene che l'opera non debba esser toccata e dall'altra invece si propongono interventi conservativi volti a prolungare la vita dell'oggetto senza modificarne sensibilmente aspetto e materialità.
- "Il restauro del contemporaneo: la collezione Burri".
- "Una struttura diversa dal previsto attende il Centro nella Reggia". Approfondimento sul Centro conservazione e restauro "La venaria Reale": si parla delle attività svolte dal Centro, dei suoi problemi finanziari e di un possibile accorpamento al Polo museale della stessa reggia.
- "Un reastauro annunciato da 67 anni". L'articolo illustra l'intervento di restauro appena completato sull' "Annunciazione" di Antonello da Messina.
- "Rivelati i segreti della divina geometria". Viene presentata la storia della difficile ricostruzione del Minbar di Saladino: la soluzione all'enigma di come fossero stati assemblati 16000 tasselli di noce, avorio e ebano senza chiodi nè colle.
- "I cubani ci provano: restuarare senza privatizzare si può". Una rassegna di vari interventi conservativi eseguiti su edifici del centro di Avana.
- "I rilievi con le nuvole (di punti)". Approfondimento sulle ultime tecnologie nel campo del telerilevamento di edifici con scanner laser.
- "Ma ora l'Italia rischia di perdere il treno". Storia della commissione UNI-Normal che da 30 anni si occupa della standardizzazione di metodologie e analisi diagnostiche; ma gli ultimi tagli ai fondi della commissione stanno minando l'attività pianificata per il futuro.

giovedì 12 febbraio 2009

TriviArt Svelato!

Salve a tutti,

finalmente riesco a trovare un pò di tempo per svelare il quiz posto ormai 2 settimane fa. La foto che vi avevo proposto mostrava un particolare del dipinto "Le Tre Grazie", di Pieter Paul Rubens, pittore fiammingo vissuto a cavallo tra il 1500 ed il 1600.


Il particolare che vi ho mostrato altro non è che la ghirlanda di fiori posta sopra la testa delle tre Grazie danzanti. Nonostante essa sia una parte molto esigua del quadro, la foto era perfettamente leggibile ed anzi, si poteva apprezzare in maniera perfetta anche la piccola ape disegnata su di un fiore.
Per catturare tale particolare non importa andare al Prado muniti di scala e macchina fotografica, aspettando la luce giusta per scattare la foto! é sufficiente andare su Google maps o su Google Earth e cercare il museo.

Il noto motore di ricerca sta infatti portando avanti una campagna di scannerizzazione delle opere più importanti del Prado per offrirne la più ampia diffusione; le immagini digitali sono state acquisite ad altissima risoluzione: presentano una definizione di circa 14.000 milioni di pixel!

Le copie digitali messe on line permettono, quindi, non solo una godibilità dell'immagine senza precedenti (non vi sono sfuocature o bruschi passaggi tra un colore e l'altro), ma anche una leggibilità del particolare quasi migliore che ad occhio nudo; si può così apprezzare la piccola ape sui fiori ne "Le Tre Grazie" di Rubens, o le lacrime sui volti della "Crocifissione" di Juan de Flandes.
Aggiungo anche il video divulgato da Google che illustra tutte le fasi del progetto.



Come si vede nel video, su Google Earth, attivando l'etichetta "Edifici 3D", è possibile anche "visitare" l'edificio del Prado: che sia un primo passo verso il "turismo on line"??
Certo, vedere le opere dal vivo, poterle vivere pienamente nel luogo in cui sono conservate, non è paragonabile alla semplice visione di un copia digitale; ma in questo modo chiunque, anche chi non può recarsi al Prado di persona (per ragioni economiche, di distanza o per qualsiasi altro motivo), può accedere al patrimonio culturale che tali opere rappresentano. E questo è bellissimo.

Andrea

venerdì 30 gennaio 2009

Trivia Art

Salve a tutti,
In attesa dei nuovi articoli in rassegna stampa, vi propongo un piccolo quiz:

Qualcuno riesce a riconoscere questo quadro?


Sbizzarritevi con le ipotesi.. indicate Autore, Titolo e, possibilmente, il museo dove è conservato..
Lunedì vi svelerò che quadro è, e perchè ha conquistato un posticino sul nostro blog!
So che non dormirete...

Andrea

domenica 25 gennaio 2009

Journal Of Cultural Heritage - Rassegna Stampa, Parte I

Con questo e i prossimi post voglio tentare un piccolo esperimento, per creare una sorta di nuova rubrica. Cercherò di riassumere in poche righe il contenuto degli articoli che appaiono sull'ultimo numero del Journal of Cultural Heritage, una delle riviste specializzate nel settore della conservazione dei beni culturali dal taglio più scientifico. Come in una rassegna stampa un po' atipica, passerò in rassegna i caratteri salienti dei contributi riportati nel Volume 9, Issue 4 (Settembre-Dicembre 2008) della suddetta rivista (Per non creare dei post eccessivamente lunghi e pesanti, dividerò la rassegna stampa in più parti! Tratterò i primi due articoli in questo post e i restanti nei prossimi post). Chi fosse poi interessato ad approfondire qualcuno degli argomenti toccati potrà seguire il link che porta direttamente al relativo articolo (visibile e scaricabile dal sito di Sciencedirect solo se registrati e abbonati; spesso i gruppi di ricerca e le università lo sono). In alternativa, su eventuale vostra richiesta, cari lettori, nei prossimi post potremmo trattare più in dettaglio gli articoli che vi hanno incuriosito di più!

Dopo questa doverosa introduzione, veniamo al dunque.

Journal Of Cultural Heritage
Volume 9, Issue 4, (September-December 2008) - Prima parte (Pagg. 357-375)

Ancient Resources: Knowledge and Dating

Georadar and passive seismic survey in the Roman Amphitheatre of Catania (Sicily)
Pages 357-366
S. Castellaro, S. Imposa, F. Barone, F. Chiavetta, S. Gresta, F. Mulargia

Il suolo su cui poggia l'anfiteatro romano di Catania è stato l'oggetto di studio di questo lavoro, in cui sono state utilizzate tecniche geofisiche di indagine (prospezioni georadar, perforazioni e metodologie non invasive, come la stratigrafia sismica passiva) per raccogliere informazioni sulla stratigrafia del sito e sui possibili effetti che potrebbero avere su di esso eventi sismici.
Il lavoro è molto lontano dagli argomenti di cui mi occupo quindi non ho la competenza necessaria per comprendere gli eventuali aspetti innovativi o l'importanza di questo studio, ma mi sembra un lavoro certamente interessante soprattutto per quanto riguarda l'aspetto della prevenzione sismica. Il rischio sismico in Italia è quasi ovunque piuttosto elevato e comprendere quali possano essere gli effetti di un eventuale terremoto è fondamentale per permettere agli ingegneri di intervenire sui monumenti archittettonici con soluzioni che ne minimizzino i danni garantendo, dall'altra parte, il minor impatto sull'opera d'arte.



Silicatescape – preserving building materials in the old urban center landscape: The case of the silicate brick and urban planning in Tel Aviv-Jaffa
Pages 367-375
Irit Amit-Cohen

In un periodo in cui lo stato di Israele occupa le pagine di tutti i giornali per le vicende legate alla questione palestinese, da Tel Aviv ci giunge un articolo alquanto particolare. Parte del centro storico di questa città, infatti, è stata definita Patrimonio Culturale dell'Umanità nel 2003 e quattro anni dopo è stata stilata una lista degli edifici su cui concentrare gli sforzi conservativi. Questi sono accomunati da uno stile architettonico basato su un particolare materiale da costruzione, il "mattone silicato", utilizzato in Israele nella prima metà del '900. L'autore in questo articolo (che di scientifico in senso stretto, a onor del vero, non ha molto) lamenta il fatto che le autorità municipali di Tel Aviv, nonostante l'importanza di questo materiale da costruzione, l'abbiano totalmente escluso dai piani urbanistici degli ultimi decenni. La discussione verte quindi sull'importanza di recuperare questo esempio di architettura vernacolare, avendo coscienza del ruolo che in passato hanno avuto tali materiali. L'autore prende la vicenda dei mattoni israeliani come esempio per tutti quei casi in cui si debba pensare al rinnovamento dell'urbanistica dei centri storici.
In questo caso gli argomenti trattati sono, se possibile, ancora più lontani da quello di cui mi occupo di quanto lo fossero quelli dell'articolo precedente, quindi mi guardo bene dal dare giudizi o commentare!



Spero che accogliate bene questo tentativo di passare in rassegna le ultime novità sul fronte delle pubblicazioni in materia di conservazione dei beni culturali. Mi rendo conto che in questo primo post gli articoli trattati non sono forse fra quelli che possono interessare maggiormente i lettori di questo blog, ma mi sembrava poco etico escludere a priori, in base al mio gusto personale, alcuni articoli piuttosto che altri!
Se avete qualche domanda, curiosità o commento da fare, mi raccomando, fatevi sotto!!

...E non perdetevi la prossima puntata, in cui saranno presi in considerazione due articoli in cui la parte di ricerca scientifica è decisamente più consistente!!

venerdì 16 gennaio 2009

Il Supermanager dei Beni Culturali

Salve a tutti,

É ormai di qualche mese fa la notizia che il ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Sandro Bondi, vorrebbe creare una nuova figura nell'ambito dei Beni Culturali: il “Direttore generale per la valorizzazione dei musei".
Nei progetti del Ministro tale persona avrebbe fra i suoi compiti l' autorizzazione a tutti i prestiti per mostre, la decisione su quali siano le mostre di "rilevante interesse culturale", i programmi sulle ricerche scientifiche sul patrimonio museale e, infine, «i criteri per l' affidamento in comodato o in deposito di cose o beni da parte dei musei».
Sappiamo oggi che in realtà è stato fatto un passo indietro sulla creazione di questa nuova figura (che adesso prende il nome di “Direttore generale dei musei”) e soprattutto sui poteri di cui è investita; rimane comunque interessante, secondo noi, parlare di questo fatto e ci piacerebbe sapere le vostre opinioni.

Nei piani del Ministro, evidentemente, tale soluzione avrebbe dovuto aiutare il ministero a rimpinguare le ormai esangui casse ed a gestire in maniera più semplice (ma anche più autoritaria) tutte le varie operazioni del mondo delle opere d'arte, quali prestiti, esposizioni ed acquisizioni. Questa visione è confermata anche dalla persona che è andata a ricoprire tale incarico: Mario Resca, persona di indubbie qualità imprenditoriali, ma che MAI ha avuto a che fare con i Beni Culturali o le opere d'arte in generale.

Se da un lato è importante riuscire a “valorizzare” il proprio patrimonio culturale, è fondamentale interpretare tale “valorizzazione” come la capacità di permettere a CHIUNQUE di usufruire di tale ricchezza. Non a caso moltissimi siti italiani sono patrimonio dell' UNESCO, ovvero patrimonio dell'umanità.
Il nuovo manager dovrebbe aiutare a garantire la più ampia e semplice fruizione possibile da parte di ognuno di noi; non fare mera speculazione finanziaria sulle opere, per “fare cassa”.

Il problema del recupero di fondi per i Beni Culturali deve sicuramente essere affrontato; anche l'enorme “tartaruga” burocratica, che affligge l'Italia in più settori, deve essere combattuta con ogni mezzo.
Il “Direttore generale dei musei” è la risposta giusta? Non si rischia di avere una visione troppo “economistica” (passatemi il termine) dei beni culturali, relegando opere o luoghi che sono in realtà pregni di significato, storico e morale, a semplici oggetti di compravendita?
Non si rischia forse un progressivo spostamento degli sforzi conservativi (e degli investimenti) verso quei siti “famosi”, verso quei luoghi, cioè, che permettono un maggiore ritorno monetario, a discapito dei siti (e delle opere) “minori”?

Abbiamo lanciato il nostro sassolino nello stagno... aspettiamo le vostre risposte!

Andrea

sabato 3 gennaio 2009

Restaurare "Contemporaneamente"...

Salve a tutti,

eccoci qua con il primo post dell'anno!
Volevo segnalarvi un interessante articolo apparso sul "Venerdì" di Repubblica di questa settimana. Si tratta di un colloquio con Antonio Rava, uno dei massimi esperti italiani (forse l'unico?) del restauro di opere d'arte contemporanea. In questo articolo viene trattato un tema molto interessante: "come affrontare il restauro di opere d'arte contemporanea, che usa materiali effimeri e spesso è fatta solo di un'idea?".

La domanda non è banale. Sempre di più, infatti, l'artista sposa materiali tra i più disparati e complessi, sfamando la sua creatività con ciò che la moderna tecnologia gli mette a disposizione (plastiche, laser, tubi catodici...). Spesso le opere sono addirittura concepite per NON durare nel tempo.
Come si affronta il restauro di un'opera che altro non è se non un palloncino gonfiato dall'artista?? (Fiato d'artista - Piero Manzoni) Si può sostituire il palloncino con uno identico, ma com fare per il respiro dell'artista, se questi è scomparso?
Ancora, dipinti ad olio eseguiti su di uno strato di catrame, che, piano piano, risucchia la pittura facendo scomparire il dipinto stesso (Luigi Stoisa); mucchi di caramelle che il pubblico è invitato a consumare (Fèlix Gonzales-Torres).

Untitled (portrait of Ross in LA), 1991, Felix Gonzalez-Torres

Tali opere danno ai materiali, ed alla loro caducità, una grande importanza e sarebbe quasi CONTRO il volere dell'artista se si tentasse di conservarle nel tempo. Altre opere, invece, danno molta importanza all'idea, al messaggio, e tralasciano il problema dei materiali, tanto che richiedono continui interventi, come ad esempio l'opera "Scultura che mangia" di Giovanni Anselmo.

Scultura che mangia, Giovanni Anselmo, Parigi, Centre Pompidou

Per far si che il contrasto tra la freschezza della lattuga e l'immobilità della pietra sia sempre vivo, è necessario sostituire la lattuga ogni giorno.
Un'altro artista, Anselm Kiefer, utilizzò nei suoi quadri fiori e semi delle sue terre e, prevedendone il degrado, creò dei veri e propri archivi di centinaia di esemplari da utilizzare per la sostituzione; ma quando questi finiranno??

Insomma, affrontare il restauro di opere d'arte contemporanea può diventare un vero e proprio rompicapo; diviene, quindi, sempre più necessario penetrare nel mondo intellettuale dell'artista, in modo da evitare che interventi, pur tecnicamente ineccepibili, tradiscano la sua poetica.

Ancora una volta il restauro richiede l'intervento di una figura preparata nel campo della chimica e dei materiali, di una professionalità che riesca ad intervenire scientificamente sull'opera, pur mantenendo la sensibilità di uno storico dell'arte. Di un Conservation Scientist, appunto.

Come affrontereste tali interventi di restauro? Sostituire, lasciare deperire, immortalare con documenti fotografici?? A voi la parola!

Andrea




mercoledì 31 dicembre 2008

Felice anno nuovo!!

Il team di Art&Scienza interrompe la pausa festiva per augurare a tutti i lettori un felice inizio di 2009!!

A presto,

Giovanna&Michele&Giacomo&Andrea

lunedì 15 dicembre 2008

Il dibattito scuote l'America: i Pollock di Alex Matter sono autentici?

Ultimi mesi del 2002, Alex Matter, figlio di Mercedes e Herbert Matter, trova, fra gli scatoloni appartenuti alla madre, un grosso pacco su cui il padre ha scritto le seguenti annotazioni: “Pollock (1946–49) Tudor City (1940–1949) 32 Jackson experimental works (gift & purchase) Bad condition. 4 both sides. All drawing boards. Robi paints. MacDougal Alley, 1958.”

Così inizia la storia che oggi voglio raccontarvi.

Herber Matter, oltre ad essere stato un grande fotografo, era anche un carissimo amico di Jackson Pollock, uno dei maggiore esponenti della pittura contemporanea. Non è difficile trovare foto che li ritraggano insieme ed è oltresì noto che Pollock dipingesse nello studio newyorkese del fotografo. Il ritrovamento dei 32 quadri fra gli oggetti appartenuti alla famiglia Matter non destò, quindi, alcun clamore. La professoressa Ellen Landau è la prima a riconoscere come autentiche le 32 opere di Alex Matter; nel maggio del 2005 ci si affretta a preparare una pubblicazione ed una mostra che permetta a tutto il mondo di godere dei ritrovati capolavori dell'artista americano.

Giugno 2005, lo HUAM (Harvard University Art Museum) riceve alcuni campioni di tre quadri e comincia una campagna diagnostica volta all'identificazione dei materiali presenti sui frammenti disponibili.

Quasi contemporaneamente alcuni esperti della Pollock-Krasner Foundation mettono in dubbio l'autenticità dei 32 quadri; non sono gli unici a pensarla così, tanto che, nel giro di pochi mesi, altri esperti di Pollock rendono pubblici i loro dubbi. Da quel momento gli interventi della comunità scientifica e storica sulle opere appartenenti ad Alex Matter crescono esponenzialmente (articolo New York Times, articolo sul Guardian, articolo sul Boston.com, solo per citarne alcuni).

A seguito dell'acceso dibattito la pubblicazione del catalogo e la mostra vengono rinviate a data da destinarsi.

I risultati delle analisi effettuate presso lo HUAM vengono pubblicati in un report nel gennaio del 2007 e presentati nel corso di una conferenza al Metropolitan Museum of NYC il primo giugno 2008, in occasione del Word Science Festival, che si tiene ogni anno a fine primavera. Il simposio, presentato dal professor Narayan Khandekar, senior conservation scientist e senior lecturer dell'Università di Harvard, è stato ripreso e messo a disposizione della comunità da parte del museo in quell'enorme e preziosissimo serbatoio che è Youtube. E' qui che l'ho scovato ed è grazie a questa conferenza che mi sono interessata a questo caso quasi poliziesco, in cui la scienza, per l'ennesima volta, si è messa al servizio degli storici dell'arte, dimostrando una volta per tutte la sua utilità.

Il video è diviso in tre parti. Il professor Khandekar parla un inglese molto comprensibile e la presentazione risulta chiara e godibilissima!




Dopo una breve introduzione storica (che è simile a quella che vi ho riportato nella parte iniziale del post), il professore illustra le tecniche che sono state usate per l'identificazione dei materiali presenti nei tre dipinti da loro analizzati. Oltre ai classici SEM-EDS, FTIR e Raman, l'equipe scientifica di Harvard si è avvalsa della datazione al Carbonio 14, della GC-MS con pirolisi e di LDI-TOF-MS. Quest'ultima è forse la tecnica meno conosciuta fra le sei appena nominate. In parole povere si tratta di una spettrometria di massa portata a termine ionizzando il campione con un fascio laser diretto nel punto da analizzare; è una tecnica ancora poco impiegata su cui potete trovare informazioni più dettagliate nella letteratura scientifica.
Vi segnalo in particolare una interessante informazione presente in questa prima parte della conferenza: le indagini al carbonio 14 sono state portate a termine su un frammento del cartone di montaggio. La quantità di C14 è pressochè costante nei materiali che erano "vivi" (ovvero in grado di scambiare con l'atmosfera) prima degli esperimenti atomici degli anni '50; tutto ciò che è stato prodotto dopo questi esperimenti presenta una quantità di C14 estremamente elevata. Il dato riscontrato nel cartoncino di montaggio è in linea con quelli di materiali che risalgono a prima dell'avvento del nucleare. E' chiaro perchè i ricercatori di Harvard siano partiti da questa analisi: infatti, se avessero trovato che il materiale di base dell'opera era stato prodotto dopo la morte dell'artista (1956) non ci sarebbero stati dubbi sulla falsità delle opere sottoposte ad analisi.




Tutte e tre le opere sono state oggetto di un pesante restauro commissionato da Alex Matter a Franco Lisi poco dopo il ritrovamento. Tracce di questo intervento sono state trovate nel presente studio, ma non sono certo questi i dati più interessanti dei ricercatori di Harvard!




Le analisi effettuate hanno messo in evidenza la presenza, in tutti e tre i quadri, di sostanze la cui commercializzazione è avvenuta dopo il 1956, anno della morte di Jackson Pollock. In particolare, nell'opera indicata con la sigla MBJP29 il pigmento marrone diffusamente impiegato, è stato scoperto all'inizio degli anni '80 e commercializzato nel 1986; o ancora, il colore arancione presente nell'opera MBPJ14, di cui riportiamo la foto qui sotto, è stato prodotto a partire dagli anni '70.


Riporto di seguito una parte della conferenza del professore, per coloro che non abbiano avuto voglia o tempo di ascoltarla per intero.

Se eliminiamo dal quadro MBJP14 tutte le sostanze (coloranti e medium organici) prodotte dopo la morte di Pollock ciò che otteniamo è ben rappresentabile dalla seguente immagine:



La provocazione del professor Khandekar è ben riuscita ed esprime con molta chiarezza le conclusioni del lavoro diagnostico portato a termine ad Harvard: non è possibile dire che questi tre dipinti (3 su 32, quindi non un numero statisticamente significativo) siano stati realizzati da Jackson Pollock. Su di essi, infatti, sono presenti sostanze che l'artista americano non poteva avere a disposizione alla fine degli anni '40, quando si pensa che queste opere siano state realizzate. Non è possibile neanche dire chi abbia prodotto questi falsi, ma, per certo, ancora una volta, è stato dimostrato che l'occhio di un critico è sicuramente un ottimo strumento per attribuire un'opera, ma non è infallibile. L'infallibilità, il più delle volte, deriva dalla scienza.


Prima di chiudere questo lunghissimo post devo informarvi del fatto che la mostra dei 32 Pollock di Alex Matter si è tenuta tra il settembre e il dicembre del 2007, presso il Mc Mullen Museum del Boston College. Nel catalogo della mostra, curata da Matter e dalla professoressa Landau, Richard Newman, del Fine Arts Museum di Boston, divide 9 dei 32 quadri che ha potuto esaminare in tre classi: quelli che contengono esclusivamente sostanze disponibili per l'artista; quelli in cui sono presenti alcune sostanze databili dopo il 1956 solo sulla superficie (si potrebbe trattare di ritocchi successivi su opere originali); e quelli in cui coloranti e medium postumi alla morte dell'artista si trovano negli strati inferiori dei quadri (in questo casoè chiaro ce si ha a che fare con dei falsi).

Nel novembre del 2007, James Martin della Orion Analytical (una prestigiosa ditta di diagnostica statunitense) presenta i dati da lui ottenuti dopo l'analisi, commissionata da Alex Matter, effettuata su 23 dei 32 quadri di Pollock. Su 16 di queste opere egli trova significative tracce di materiali successivi alla morte dell'artista. Inoltre, sui supporti sono spesso presenti marchi di materiali prodotti solo dopo gli anni '70. Nonostante questi risultati, la mostra a Boston è stata un successo e dei 32 Jackson Pollock di Alex Matter continueremo a sentir parlare, nel bene o nel male.


venerdì 5 dicembre 2008

Restauro David di donatello: esempio da seguire?

é stata recentemente festeggiata, nel Palazzo del Bargello a Firenze, la fine del restauro del David bronzeo di Donatello.
L'opera si presentava soffocata da incrostazioni disuniformi formatesi sulla superficie; esse erano dovute ad “incerature”, andate incontro a mineralizzazione, ed a patinature, inscuritesi nel tempo.
Ancora una volta, quindi, un intervento di restauro doveva essere eseguito per porre rimedio a passati interventi, troppo spesso volti ad adattare l'opera ai gusti del tempo, piuttosto che alla conservazione dell'opera come tale.

Il restauro si è reso possibile, ai nostri giorni, grazie alla ricerca ed allo sviluppo di nuove tecnologie che permettono interventi sempre più mirati e meno invasivi; in particolare è stata utilizzata l'ablazione laser (che abbiamo già visto in un altro post), per rimuovere le incrostazioni selettivamente, senza danneggiare il bronzo sottostante.
La perfetta riuscita dell'opera di pulitura ha permesso di riportare alla luce tracce di dorature, originariamente presenti sulla scultura, realizzate con la tecnica a “missione”, e per questo particolarmente fragili.

Oltre che eseguito in maniera esemplare, questo intervento ci pare interessante per la particolare modalità in cui è stato svolto: si è trattato, infatti, di un cantiere aperto al pubblico.
La scultura non è stata spostata, ma semplicemente adagiata su di un supporto nella stessa sala dove era esposta, ed il restauro si è svolto sotto gli occhi incuriositi dei visitatori.


la foto mostra come si presentava il cantiere

Sicuramente tale esperienza è stata permessa dalle ottime condizioni in cui versava l'opera (in fondo si è trattato di un intervento di “semplice” pulitura), e dalla tecnica di intervento, che permetteva di operare in tali condizioni ambientali. Sebbene, quindi, una simile procedura sia applicabile in pochi interventi di restauro, questo è sicuramente un ottimo esempio, a nostro parere, di come anche il restauro possa divenire protagonista agli occhi del pubblico.

Ci piacerebbe inoltre stimolare la discussione riguardo alla decisione di apporre a fianco dell'opera restaurata una sua copia, eseguita con la medesima tecnica, sulla quale sono state applicate tutte le dorature di cui si è trovata traccia e che si propone di far vedere allo spettatore l'opera come la poteva osservare Lorenzo il Magnifico.

Il David restaurato e, sullo sfondo, la sua copia con le dorature

Utile ed interessante ricostruzione?
Oppure falso simulacro che toglie all'opera quel gusto di “antico”, quella “patina dei secoli” che la rende affascinante e misteriosa?

A voi la parola....


Andrea



riferimenti: http://www.beniculturali.it/sala/dettaglio-comunicato.asp?nd=ss,cs&Id=2877

giovedì 27 novembre 2008

La Madonna del Cardellino rivede la luce

Sono lieto di riportare di seguito il contributo di Andrea Santin, in veste di "inviato speciale" del nostro blog, ma che ben presto entrerà a far parte in pianta stabile del team di Art&Scienza:

"Sabato 22 Novembre è stata presentata, in Palazzo Medici Riccardi, la mostra che accoglierà fino al tre marzo la “Madonna del cardellino”, capolavoro di Raffaello. Il dipinto, realizzato nel 1506, giunge a noi dopo aver attraversato molte avversità nei suoi 500 anni di vita. Già nel 1548 subì il crollo del palazzo che lo conservava e si frantumò in 3 parti; fortunatamente fu recuperato e riassemblato, probabilmente da Ridolfo del Ghirlandaio, che pure ne ridipinse varie parti. Vari furono, in seguito, i tentativi di restauro di cui sono state rilevate le tracce dall’Opificio delle pietre dure di Firenze. Il dipinto giunse, infine, nelle mani dell’Opificio nel 1999, dove fu sottoposto ad un minuzioso restauro, durato quasi 10 anni.


Il dipinto prima (sinistra) e dopo (destra) il restauro

La mostra, molto piccola in realtà, si compone di 3 sale: le prime due contengono ampia documentazione del restauro, fin dai suoi primi passi, mentre la terza racchiude il dipinto insieme ad alte 4 opere coeve, che aiutano mettere in risalto il valore e l’unicità dell’opera.
Non ci soffermeremo a dare un giudizio sulla mostra, ma ci fa piacere sottolineare come tale esposizione non sia un semplice sfoggio dell’opera (peraltro veramente sublime), ma un importante tentativo di mostrare il restauro come soggetto comprimario all’opera, tentando di spiegarne tutti i passaggi e di far capire al pubblico come esso sia fase tra le più delicate nella vita di un opera.

Sono stati dedicati più di due anni alle indagini diagnostiche sul dipinto, e sono state utilizzate svariate tecniche, prevalentemente non invasive:

Radiografia e tomografia: utili per documentare precedenti interventi e per valutare lo stato di conservazione del supporto ligneo.

Riflettografia IR: per acquisire informazioni sui pigmenti e sula tecnica pittorica.

XRF: ha permesso di discriminare i pigmenti impiegati da Raffaello da quelli utilizzati in seguito.

Tecniche di indagine 3D (profilometria a riga laser, micro-profilometria conoscopica, topografia di superficie a proiezione di linee).

FORS (Fiber Optic Reflectance Spectroscopy).

Indagini chimiche.

Nella mostra tali tecniche sono tutte documentate da descrizioni e foto suggestive, che danno il giusto risalto a tutto il lavoro svolto dai tecnici. Tale documentazione però manca di citare le analisi chimiche, che non vengono menzionate in alcuna parte delle descrizioni. dimenticanza? Forse semplice omissione di analisi “scomoda”, che hanno richiesto il prelievo di ben 7 campioni, da varie parti del dipinto.

Per soddisfare ogni curiosità o domanda, comunque, è stato pubblicato un libro interamente dedicato al restauro dell’opera, che contiene dettagliate informazioni di ogni tecnica utilizzata (anche delle analisi chimiche!) e dei risultati raggiunti. Il risalto che la mostra offre alla parte diagnostica dell’intervento rivela, anche agli occhi di un pubblico non esperto, quanta importanza essa abbia nel raggiungimento di risultati di così alto livello.

Ci auguriamo che sempre di più, nel restauro, venga posta l’attenzione sulle indagini diagnostiche, troppo spesso tralasciate, o private della giusta considerazione.

Andrea"

Mi permetto di aggiungere un video molto interessante (sebbene privo di audio!!) in cui vengono descritte, purtroppo solo visivamente, alcune fasi del restauro:



mercoledì 19 novembre 2008

"Youth in Conservation of Cultural Heritage": convegno riguardante la conservazione dei Beni Culturali

Con questo breve post vorrei segnalare (per chi non ne fosse a conoscenza) o ricordare (per chi, invece, lo sapeva già) che la settimana prossima si terrà un convegno molto interessante per chi, come noi, si interessa di conservazione di Beni Culturali.
Il convegno si intitola "Youth in Conservation of Cultural Heritage" e si terrà a Roma nei giorni 24-25 Novembre. Il progetto è stato promosso ed organizzato dalla Italian Association of Conservation Scientists (IACS, associazione che ha sostituito la AIEDAbc, di cui si era già parlato in un altro post risalente alla preistoria di questo blog...) e dal Younger Chemists Group of Italian Chemical Society.
Il convegno si articola in due giornate in cui si susseguiranno 33 presentazioni orali e saranno presentati altri 24 lavori in forma di poster.
Due sono le principali tematiche trattate nel convegno:
- La presentazione di esperienze, lavori e ricerche portate avanti da giovani professionisti in questo campo
- Il problema dell'inserimento della nostra figura professionale nel mondo lavorativo della conservazione
I temi mi sembrano molto interessanti e soprattutto riguardano molto da vicino tutti quelli che, come noi, hanno fatto o stanno facendo la laurea specialistica 12/s. Inoltre vorrei sottolineare il fatto che l'iscrizione al convegno costa soltanto 20€ (che, credetemi!, è un prezzo veramente onesto rispetto a quello che normalmente viene chiesto ai convegni).
Quindi, se siete nei paraggi di Roma, o se volete farvi un viaggetto nella capitale, vi consiglio di fare un salto all'Università della Sapienza per assistere al convegno.
Il sito di riferimento è http://www.yococu.com/index.php?option=com_content&view=article&id=1&Itemid=19
P.S.: Tra i poster presentati potrete anche trovarne uno fatto dal team di Art&Scienza (il titolo è: Conservation Science At CSGI - Innovative Methods For The Conservation Of Works Of Art.)!

domenica 16 novembre 2008

Manifestazione per l'Università, Roma, 14-11-2008

Cari lettori, eccoci di nuovo con un post un po' atipico. In questo clima di fermento sui temi dell'Università, il team di Art&Scienza non poteva rimanere a guardare ed è sceso in piazza insieme ad altre decine di migliaia di studenti, dottorandi, ricercatori e precari. Abbiamo manifestato per protestare contro i tagli indiscriminati ai finanziamenti statali alle Università previsti dal DL 133 e per affermare una volontà di riforma che ci deve essere e che deve puntare sulla meritocrazia, sulla ricerca e sui giovani. Una riforma che deve individuare ed eliminare gli sprechi, le baronie e le cattedre inutili; una riforma che deve razionalizzare e rendere competitivi il sistema universitario e gli enti di ricerca, ma che dovrebbe poggiare su di una riorganizzazione dei finanziamenti statali e non essere preceduta da una serie di tagli senza precedenti.

Quando un Paese non investe nella ricerca e nell'Università vuol dire che non c'è un reale interesse per il futuro e, quindi, per l'avvenire dei più giovani. Perché se è vero che il momento è delicato e i soldi non ci sono, è vero anche che i costi della politica non scendono, la lotta all'evasione fiscale non è dura come dovrebbe, la lotta alle mafie nemmeno e continuiamo a spendere un sacco di soldi per le missioni militari in Afghanistan e Iraq. E' una questione di priorità. Evidentemente le priorità di questo governo sono altre.

Il video che segue è un piccolo assaggio della manifestazione di venerdì 14 a Roma. Per tutti quelli che non ci sono stati e vogliono vedere cosa si sono persi, ma anche per chi c'è stato ma vuole riviverne alcuni momenti...



...L'importante è non fermarsi al semplice "NO alla 133", ma iniziare a proporre un'alternativa all'attuale sistema universitario, cosa che molti stanno già facendo. Perché cambiare le cose è e deve essere possibile!